Federico Preti, docente di Sistemazioni Idraulico-Forestali: “Per evitare che l’acqua distrugga a valle, bisogna trattenerla a monte, con l’aiuto dell’ingegneria naturalistica”

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Federico Preti è ingegnere idraulico e docente di Sistemazioni Idraulico-Forestali e di Difesa del Territorio e Ingegneria Naturalistica all’Università di Firenze. È Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana Ingegneria Naturalistica. Pochi giorni fa era a Faenza, per dare una mano nei quartieri alluvionati ed ha potuto osservare e toccare con mano i danni causati dal torrente Lamone.

Venerdì 27 settembre Preti parteciperà all’incontro organizzato da AIPIN nell’ambito di Earth Technology Expo – Area One Water alla Fortezza de Basso a Firenze, in cui si parlerà di mitigazione del rischio frane e inondazioni.

A livello nazionale, è aumentata la superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane e alluvioni: l’incremento sfiora rispettivamente il 4% (frane) e il 19% (alluvioni) rispetto al 2017 e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità. Su un totale di oltre 14 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata superano i 565mila (3,9%), mentre poco più di 1,5milioni (10,7%) ricadono in aree inondabili nello scenario medio. Gli aggregati strutturali a rischio frane oltrepassano invece i 740 mila (4%). Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84 mila con 220mila addetti esposti a rischio, mentre quelli esposti al pericolo di inondazione, sempre nello scenario medio, superano i 640 mila (13,4%)”. (dati ISPRA)

“L’Emilia Romagna è una regione con un alto consumo di suolo e un alto rischio idro-geologico” spiega l’esperto che sottolinea due aspetti: il primo è che frane e allagamenti sono fenomeni che succedono in natura, ma il problema sorge quando questi fenomeni diventano pericolosi mettendo a rischio vite umane e beni antropici. In secondo luogo, quando si parla di un territorio ad alto rischio idro-geologico si intende un’area in cui l’urbanizzazione è molto elevata e questo significa che in caso di una forte ondata di maltempo sono principalmente le zone residenziali e industriali ad essere colpite e danneggiate. Inoltre se un territorio è densamente urbanizzato è anche maggiormente impermeabile e l’acqua non viene assorbita nè trattenuta”.

Secondo l’esperto, per aiutare il territorio a resistere a questi fenomeni naturali,  esasperati dal cambiamento climatico, si può intervenire sui bacini collinari e montani, che negli ultimi anni hanno assistito ad un graduale abbandono di alcune pratiche: “Chi viveva in quelle aree prima interveniva nella gestione dei boschi e nelle aree agricole. Reticolo idraulico e terrazzamenti erano in grado di trattenere e rallentare una grande quantità di acqua, lo stesso quantitativo che ora dovremo allocare nelle casse di espansione a difesa dei centri abitati. Prima avevamo una laminazione diffusa a monte, che oggi è acqua, non regimata, che arriva a valle, danneggiando il territorio in pianura”.

“Se dovessimo ridurre al massimo il rischio di frane e inondazioni, dovremmo delocalizzare edifici e infrastrutture nelle zone a rischio . È chiaro però che si tratta di una soluzione impopolare – commenta l’esperto -. Se vogliamo aiutare il sistema ad essere più resiliente, è necessario lavorare a monte ed adeguare o realizzare opere che trattengano e rallentino l’acqua a valle”.

Parlando dei fiumi, Preti tocca anche un tema molto discusso in questi giorni: la manutenzione lungo gli alvei dei fiumi. “La presenza di alberi nei corsi d’acqua non implica una mancata pulizia. È bene sottolineare infatti che i tagli selettivi, che prevedono l’eliminazione solo di alcune tipologie di piante, servono innanzitutto ad evitare che l’acqua che scende lungo l’alveo accumuli una forte velocità. Quindi le piante in alveo, se non sono in zone  urbanizzate, aiutano a regimare l’acqua, a rallentarla. Concludendo, quindi, non è corretto considerare sicuro un fiume dove tutta la vegetazione presente nell’alveo è stata eliminata. È bene sottolineare che in ogni caso, la manutenzione del territorio deve essere programmata e fatta in maniera diffusa e capillare, in particolare nelle zone vulnerabili e a rischio”.

Per evitare che l’acqua distrugga a valle, bisogna trattenerla a monte. Preti sottolinea: “Oggi è impossibile pensare che i giovani tornino a vivere in montagna ad occuparsi di quella cura del territorio che facevano i nostri nonni, però possono essere realizzate opere di ingegneria naturalistica (cioè Nature Based Solutions – NBS) che utilizzano tecniche a basso impatto ambientale che accelerano il miglioramento strutturale del suolo e quello ambientale al tempo stesso. – prosegue -. Le opere in NBS vengono costruite con materiale naturale reperibile in loco, come legname o pietrame e piante vive. Queste opere riescono a compensare ciò che il territorio, non è più in grado di fare il territorio. Per fare un esempio: in un bosco che non viene più gestito dall’uomo, senza scoline o terrazzamenti, non avviene la regimazione della acque”.

Parlando delle soluzioni per rendere il territorio più resiliente, il presidente di AIPIN spiega: “Per intervenire sulle numerosissime frane superficiali, che colpiscono il reticolo viario nelle colline, servono degli interventi di sistemazione idraulica e forestale, attraverso opere di ingegneria naturalistica. Grazie a questi lavori l’acqua viene trattenuta dal terreno evitando che scenda nel sottosuolo e generi frane profonde e poi arrivi nei corsi d’acqua a valle.”

Preti fa due esempi: “palificate vive” e “fascinate vive”. La prima serve per consolidare il terreno e consiste in una incastellatura di tronchi di legno di diametro di 30 cm, collegati con chiudi di ferro, e riempita a strati di pietra e terreno, in cui vengono inseriti delle talee che, interrate, vanno a creare un apparato radicale in grado di stabilizzare e rinforzare il terreno. Si evita l’utilizzo di cemento armato, che è rigido e, prima o poi, rischia di cedere.

Il secondo esempio riguarda la regimazione delle acque che viene fatto nel reticolo idraulico minore: se nei versanti venissero fatte delle “fascinate vive”, si creerebbero delle piccole barriere che riuscirebbero a trattenere il deflusso superficiale dell’acqua favorendone la deviazione verso affluenti minori con un tempo di corrivazione più alto: rallentare la discesa dell’acqua fa sì che la portata di piena a valle sia minore”.

Preti conclude: “Gli interventi di Ingegneria naturalistica hanno il vantaggio di essere da subito sicuri e la resistenza tende ad aumentare nel tempo, ben di più delle opere di ingegneria grigia, inoltre le finalità non sono solo tecniche e funzionali ma anche ecologiche, naturalistiche e paesaggistiche. Senza dimenticare che vi è anche un vantaggio economico perché i costi sono minori e potrebbe favorire nuova occupazione per i giovani”.

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